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Appunti sulla vulnerabilità – Eva e la sua ricerca artistica

 

C’è un confine labile tra ciò che cerchiamo di essere e ciò che realmente siamo.

Alda Merini tra le sue note scriveva: “Mi sveglio sempre in forma e mi deformo attraverso gli altri”; mi chiedo se sia possibile trovare un giusto compromesso.

Da piccola giocavo spesso da sola: tutto ciò che mi serviva era racchiuso in un delicato microcosmo che a quel tempo sembrava eterno e immutabile. A distanza di anni, ogni giorno cerco di nutrire il mio piccolo universo, renderlo vivo e fare in modo che quel fuoco non si spenga.

C’è chi ha paura del buio, della morte, di quello che non sa; io lotto costantemente con la parte di me che vorrebbe proteggersi e sparire. Spesso il mondo “fuori” è terribile, è invece molto più facile sentirsi protetti quando si interpretano ruoli e apparenze.
Tuttavia, più guardo dentro e più noto che “fuori” manca qualcosa. Quand’è stata l’ultima volta che ti sei sentita vulnerabile? Forse poco fa, forse mai…io mi sento sempre molto fragile quando condivido ciò che ho dentro. Ho il timore che qualcuno possa calpestarne i fiori.

Personalmente credo che questa paura generi difese invisibili tra l’io e ciò che lo circonda, tra me e te. Sono sempre più convinta del fatto che gli scudi che ci cuciamo addosso, le dinamiche sociali che adottiamo, non siano nient’altro che le basi di un distanziamento sociale e individualistico malsano, che ci spinge verso un’inevitabile solitudine.

Forse un giorno imparerò le regole del giusto “stare” e dissolverò queste barriere invisibili. Per il momento ho voglia di raccogliere tutta questa paura e fare del mio meglio per creare una fotografia pro-attiva, imperfetta e viva.

Esporre in Villa per la mostra “Saudade” per me non è stato semplice: è stata la prima volta in cui mi sono confrontata con tutto ciò che riguarda una preparazione espositiva. Ho scelto di portare dei lavori molto intimi: fotografie di famiglia, pagine dal mio diario, sogni…
Porto nel cuore tutte le persone che si sono emozionate, le dediche, i bambini che hanno scarabocchiato con le loro matite colorate sul libro della mostra. Grazie anche a Edoardo, Nicolò, Enrico e grazie a tutta l’organizzazione della Villa. Nonostante mi sentissi vulnerabile, so bene che i miei lavori sono stati custoditi in un luogo protetto e attento.

 

 

Quando incontro il “fuori” con apertura, mi rendo conto che abbiamo bisogno di empatia sincera per trasformare l’umano in qualcosa di ancora più umano, sensibile, delicato. Non c’è più tempo per vivere involucri deformati e vuoti, apparenze superficiali di dolori non espressi.

Sono grata per le ombre e le fragilità, ci sarà sempre la volontà (per me vitale) di condividere un’intimità personale: sfaccettatura di un sentimento collettivo che ognuno di noi, a diversi livelli di profondità, si porta dentro.

Eva Venzo



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